Nel mese di agosto abbiamo assistito ad un crollo nella borsa di Shangai, evento che ha suscitato molte preoccupazioni a livello globale, tanto che si è addirittura parlato di una brusca interruzione della crescita del PIL cinese. In effetti, a guardare gli ultimi dati macroeconomici, sarebbe più coretto parlare di un lieve rallentamento della produzione del gigante asiatico: malgrado gli ultimi trend negativi, la crescita cinese si aggira sempre intorno al 7%, percentuale che fa impallidire i tassi di crescita europei attuali.
Esprimendo il concetto con una metafora, l’economia cinese si è solamente presa una pausa per “respirare” dopo un periodo di forte crescita che ha permesso alla popolazione di accrescere la propria ricchezza e migliorare gli standard di vita. Questo ha causato l’emergere di altre tipologie di problemi, come la disparità sociale, la corruzione e le urgenti questioni ambientali, prima fra tutte l’inquinamento delle risorse e dell’aria. Attualmente l’economia cinese si sta concentrando maggiormente sulla realizzazione di servizi a livello nazionale. Si tratta di una serie di investimenti che ha un impatto minore sulle importazioni, ma che ha l’obiettivo di migliorare la qualità della stessa crescita futura.
Ovviamente tutto ciò provoca delle ripercussioni: con il calo della domanda interna cinese si verifica un rallentamento della produzione di interi settori (come quello minerario, ad esempio) ed è proprio questo che preoccupa le economie occidentali. Allo stesso tempo, le dinamiche in atto potrebbero insegnarci una lezione importante per i prossimi anni: non possiamo affidarci interamente (e ciecamente) alla crescita cinese se vogliamo alimentare la crescita europea.